Archeoastronomia : lo stato della ricerca sul campo in Italia -Calzolari
Dal Convegno Jenam 2000 all’inizio dell’anno di decade del nuovo millennio
Enrico Calzolari – semiologo d’ambiente
Segretario A.L.S.S.A (Ass. Ligure Sviluppo Studi Archeoastronomici)
Consigliere S.I.A. (Società Italiana di Archeoastronomia)
e.calzolari@acamtel.com
All’inizio degli studi sistemici i ricercatori sardi Carlo Maxia e Lello Fadda denominarono la disciplina “astro-archeologia”, mentre oggi si fa distinzione fra paleoastronomia ed archeoastronomia a similitudine di come gli archeologi suddividono la preistoria dalla protostoria, in base all’arrivo della scrittura in un contesto territoriale.
Nell’archeoastronomia rientra quindi anche l’archeoastronomia cristiana, cioè lo studio dell’orientamento degli edifici di culto (chiese, oratori, battisteri, cappelle) che annovera oggi molti “scolari”, fra cui eccelle Manuela Incerti del Dipartimento di Architettura dell’Università di Ferrara, consigliere della Società Italiana di Archeoastronomia, referente scientifico del Centro per la Conservazione e Valorizzazione dei Beni Culturali (CCVBC) del Politecnico di Milano, avente per scopo lo “sviluppo di discipline integrate per lo studio e la valorizzazione dei siti e dei beni culturali di interesse archeoastronomico”, nonché responsabile del Laboratorio ACHE (Centro Studi Astronomia e Patrimonio Culturale) del Dipartimento di Architettura dell’Università di Ferrara.
Le ricerche di Maxia e Fadda erano inserite nel contesto degli studi di antropologia dei popoli Sardi, e nella denominazione attuale dovrebbero rientrare in quell’ampliamento della disciplina oltre il calcolo astronomico che, oggi, viene classificata come “etno-archeoastronomia” o anche “astronomia culturale”, così come indicato da Stanislaw Iwaniszewski e Clive Rugles nel corso delle sessioni di studio tenutesi all’Accademia dei Lincei nel 1994 e nel 1997.
Nel 1996 si è costituita in Liguria la Associazione Ligure Sviluppo Studi Archeoastronomici (A.L.S.S.A.) inizialmente proposta come Società Archeoastronomica Ligure.
La nuova associazione ha tenuto il primo convegno annuale il 22.2.1997 presso la sala della Università Popolare Sestrese, divenuta ormai la sede tradizionale degli incontri annui. In questo consesso è maturata, dopo alcuni anni, una discussione sui contenuti della ricerca, che ha visto emergere due linee di tendenza, una rivolta al mero (merus, puro) calcolo astronomico, nel senso di dedicare le energie dei soci alla eccellenza delle osservazioni sul campo e alla verifica comparata dei risultati ottenuti, discussa nei convegni, e presentata nei quaderni annui, e l’altra rivolta ad allargare lo studio dei siti, riconosciuti con valenze archeoastronomiche, anche alla multidisciplinarietà e interdisciplinarietà, o al cosiddetto “approccio olistico”.
Proprio il riferimento al concetto di “olismo” ha creato la frattura fra i soci .
Infatti, nella definizione di holism in “The Concise Oxford Dictionary” si legge: “Tendency in nature to form wholes that are more then the sum of the parts by creative evolution”.
Questo “valore aggiunto” di natura filosofica ha indotto i “razionalisti” e gli “scientisti” a lasciare l’associazione, che ha però continuato a produrre sia la ricerca sul campo sia la gestione dei convegni, che tradizionalmente si svolgono in primavera, nonché la pubblicazione dei quaderni annuali, ora evoluta in produzione di CD, secondo le linee di azione del nuovo presidente Giuseppe Veneziano.
Ai convegni peraltro partecipano, non più come soci, ma come studiosi ospiti, alcuni di coloro che ne furono soci fondatori e che preferiscono tenersi distinti dai cosiddetti “olistici”. Ciò contribuisce a far si che il polo ligure sia il più attivo in Italia, oltre che il più anziano in termini associativi.
Nel dicembre 2000 si è costituita presso l’Osservatorio Astronomico di Brera la Società Italiana di Archeoastronomia, formata essenzialmente da docenti e ricercatori operanti in università e in osservatori astronomici, avente fra i suoi scopi non solo la ricerca sul campo, ma anche lo studio della storia dell’astronomia antica e dell’astronomia storica.
I convegni annui di questa società si tengono generalmente a settembre e i contenuti delle comunicazioni sono generalmente suddivisi in due parti, e vengono pubblicati su due diversi tipi di pubblicazioni, gli Atti Annui, riservati ai contributi di ricerca della storia dell’astronomia, e la “Rivista Italiana di Archeoastronomia”, unica nel suo genere in Europa, pubblicata dalla casa Editrice Quasar di Roma, contenente le relazioni sulle scoperte dei siti orientati nonché le metodologie d’uso delle moderne tecnologie per la ricerca sul campo, proposte soprattutto dal ricercatore Adriano Gaspani, dell’Osservatorio Astronomico di Brera, che oggi è il principale ricercatore sul campo proveniente dalle professionalità insite nelle istituzioni, mentre di solito chi produce la maggior parte delle ricerche sul campo sono gli “amatori”, in quanto approfonditi conoscitori del territorio e capaci della frequentazione dello stesso durante tutte le stagioni dell’anno.
Occorre peraltro far presente che l’osservazione degli “asterismi” visibili da un determinato territorio comporta costi umani notevoli, in quanto bisogna essere sul sito, generalmente un luogo alto, spesso impervio, sia all’alba sia al tramonto, nonché per la Luna e per le stelle, anche nelle ore notturne. Costi di trasporto (spesso occorre usare veicoli fuori-strada) costi di pernottamento e di ristorazione, vengono sopportati personalmente dagli “amatori”, che effettuano le loro ricerche secondo il “principio di sussidiarietà”, perché le istituzioni non posseggono i fondi per finanziare simili ricerche.
Spesso esponenti delle università accusano gli amatori di effettuare studi che non competono loro, perché istituzionalmente la ricerca sarebbe compito dell’università, ma questa operatività è permessa dalla nostra Costituzione Repubblicana, attraverso l’interpretazione congiunta degli articoli 21, 33, 34.
Si noti inoltre che le istituzioni, per destinare risorse di bilancio in un determinato progetto di ricerca archeoastronomica, devono prima avere la certificazione che il sito è dotato delle propedeutiche valenze archeologiche.
Siamo cioè in presenza di un kreis-lauf (cerchio-corsa) insuperabile, che gli amatori risolvono con la loro preparazione in archeologia megalitica, conseguita come autodidatti girando mezzo mondo, orientando le loro vacanze in luoghi di offerta di “turismo culturale”.
Poiché spesso le condizioni meteorologiche impediscono l’osservazione astronomica, prevista secondo i calcoli effettuati con i moderni programmi computerizzati, si rende necessario tornare più volte sul sito, a distanza di sei mesi per le osservazioni equinoziali, ed a distanza annua per le osservazioni solstiziali.
Emerge quindi la complessità del lavoro di ricerca. Un caso eloquente di questo processo indagativo e cognitivo si ha nel recente studio del sito pre-etrusco di Poggio Rota (Pitigliano).
Oltre ad una preventiva visita effettuata con la propria dotazione strumentale da Adriano Gaspani, che ha prodotto una prima sommaria relazione, e ad una veloce visita effettuata dal prof. Giulio Magli, docente di Meccanica Razionale al Politecnico di Milano, incaricato come “referente scientifico” del C.C.V.B.C. dello stesso Politecnico, sono state necessarie decine e decine di giornate di osservazione da parte dei ricercatori Antoine Mari Ottavi e François Radureau dell’A.R.C.A. (Amateurs de la Région Corse d’Archéastronomie) che si sono recati sul sito più volte, per un periodo di più giorni, sbarcando con il traghetto nel porto di Livorno.
Essi hanno studiato il sito utilizzando anche il programma di archeoastronomia “Arkeorb” di loro progettazione, ma per poter produrre il “Rapport”, commissionato loro dalla Associazione TAGES di Pitigliano, hanno anche usufruito di decine e decine di osservazioni fotografiche effettuate dal prof. Antonello Carrucoli, docente nella scuola media di Pitigliano e appassionato fotografo, consigliere dell’associazione.
TAGES ha pertanto potuto presentare una documentazione complessa del sito alla Soprintendenza Archeologica di Firenze, utilizzando le operazioni di pulizia, di misurazione e di mappatura effettuate in decine di viaggi dal sottoscritto, in collaborazione con i consiglieri ed i volontari locali.
Dopo circa due anni di impegno di TAGES è stata così realizzata una prima indagine archeologica istituzionale, effettuata sul sito dalla prof.ssa Nuccia Negroni Catacchio, archeologa dell’Università di Milano.
Gli aspetti innovativi di questa operazione culturale, che sono già stati acquisiti ancora prima di conoscere le risultanze della indagine archeologica, riguardano:
- alcuni aspetti morfologici rinvenuti nella lavorazione dei massi tufacei (fessurazioni orientate) che risultano presenti, come tipologia, anche nel Castellare di Pignone (Val di Vara – Liguria Orientale) attribuito al Terzo Millennio a.C.;
- i fasci di luce, sia orizzontali, sia verticali, emersi durante l’osservazione puntuale fatta ai solstizi e agli equinozi, paralleli fra loro, ripetuti due volte nel caso del solstizio d’inverno e del solstizio d’estate, e tre volte durante l’equinozio. Il verificarsi del fascio di luce verticale si ritrova, come tipologia visiva, anche nel Castellare di Pignone, ma si forma a mezzogiorno del solstizio d’inverno;
- in una vaschetta ellittica ricavata nel tufo si forma, al solstizio d’inverno, una luce a forma di farfalla, posta su un piano orizzontale, che richiama visivamente la ormai famosa farfalla di luce dorata che si forma, verticalmente, al tramonto del solstizio d’estate, nel sito di San Lorenzo al Caprione, in Lerici (La Spezia);
- nella suddetta vaschetta si forma, al tramonto del solstizio d’inverno, il riflesso dei raggi luminosi nell’acqua, con la doppia visione del Sole, quello diretto e quello riflesso, con effetti cromatici strabilianti, resi bene soprattutto con le macchine fotografiche digitali.
Se lo studio del sito di Poggio Rota costituisce l’ultimo esempio di indagine, occorre richiamare un evento che in termini di evoluzione dello stato dell’arte ha scosso tumultuosamente la comunità di “scolari” facenti parte della S.I.A., per cui nel loro blog sono rimbalzate decine e decine di messaggi, contrapposti nei loro giudizi, a proposito della convocazione di un convegno organizzato da studiosi francesi, da tenersi a Saint Martin de Vesubie (prima della guerra era San Martino Vesubia) per illustrare il riconoscimento della costellazione delle Pleiadi nelle incisioni rupestri di Monte Bego.
La insolita ed imprevedibile diatriba è stata scatenata da due elementi concomitanti, prima di tutto la questione epistemologica del concetto di “speculazione”, implicito nello studio delle rappresentazioni di arte rupestre cui si vuol attribuire il significato di costellazioni, e quindi la questione “nazionalistica”, per cui, secondo gli Italiani, i Francesi non vogliono studiare o non sanno studiare l’archeoastronomia, per cui, di solito, non partecipano ai congressi internazionali organizzati dalla S.E.A.C. (Société Européenne pour l’Astronomie dans la Culture).
Siamo nel campo delle “ipotesi nel passato”, che è un campo da affrontare con l’ausilio del calcolo probabilistico (Teorema di Bayes sulle probabilità composte) e con la teoria degli errori. Maggiori sono i casi da esaminare e più ci si può avvicinare alla ipotesi più veritiera.
Durante il convegno S.E.A.C. di Isili (Sardegna) tenutosi dal 28 giugno al 3 luglio 2005, il sottoscritto presentò due posters, rispettivamente a titolo “A Close Archaeoastronomic Reading about Cupmarks of the Hemicycle Tomb in Sas Concas (Sardinia)” e “The Archaeological Symbols ‘M’ and ‘W’ and the Symbolic Link with the Cassiopeia Constellation”.
Dopo una serrata discussione con il referente italiano della SEAC, Mauro Peppino Zedda, organizzatore del convegno, fu inserito nei Proceedings il poster relativo alla simbologia di Cassiopea, perché riprodotto in molti manufatti, sempre con linee continue, quindi riconosciute come chiaramente intenzionali (fra questi la pittura rupestre del 3500 a.C. di Rocca Cavour; la statuetta di Passo di Corvo del 5300 a.C.; la faccia femminile di Porto Badisco e la rappresentazione della Grotta dei Cervi, entrambe di epoca Neolitica; la doppia rappresentazione di Cassiopea invernale ed estiva del vaso di Vinkovic del 2600 a.C.; il vaso funerario di Grotta Barche dell’epoca del Bronzo recente; l’incisione dell’età del Ferro di Dos Dulif di Valcamonica; la rappresentazione del vaso di Bucovat studiata dall’archeologo rumeno Lazarovici; la rappresentazione della Grotta di Olmeta di Capo Corso, studiata da Acquaviva e Cesari).
L’altro poster, pur avendo come coautore il giovane astronomo professionista Simone Marchi, dell’Università di Padova, non fu accettato perché la rappresentazione di Cassiopea mediante coppelle è stata ritenuta una semplice “speculazione”, cioè una congettura effettuata senza poter conoscere tutti gli elementi che hanno generato, in epoche preistoriche, il fenomeno rappresentativo.
Questo giudizio fu espresso sia per le rappresentazioni con coppelle situate in positura orizzontale, sia per coppelle situate in posizione verticale, sia per coppelle incise all’interno di una tomba scavata nella roccia, datata dagli archeologi al 2700 a.C., contenente la rappresentazione di un fenomeno astronomico relativo allo stesso periodo, ma riferito alla costellazione di Ursa Major (passaggio in antimeridiano di questa costellazione alla mezzanotte del solstizio d’inverno, con separazione della rappresentazione delle ruote rispetto alle stelle del timone).
Va tenuto conto che nel 2008 l’archeoastronomo Guido Cossard aveva pubblicato su alcune riviste, nonché in Internet, la scoperta della costellazione delle Pleiadi, raffigurata mediante coppelle, in due siti della Val d’Aosta, senza destare nessun dibattito fra i soci utilizzatori del blog SIA, salva una valutazione critica sollevata da Adriano Gaspani sulla rivista “Coelum” (n°115-anno XII- Marzo 2008).
Nessuna osservazione è emersa per ora dalla pubblicazione, avvenuta nel dicembre 2009 (con un ritardo di sette anni) degli Atti del Convegno Internazionale “Archeoastronomia: un dibattito tra archeologi ed astronomi alla ricerca di un metodo comune”, organizzato dalla Sovrintendenza Archeologica per la Liguria e dall’Istituto Internazionale di Studi Liguri. Il convegno era stato articolato in due sessioni, tenutesi a Genova nel febbraio 2002 ed a San Remo nel novembre 2002.
A San Remo il sottoscritto presentò, fra le altre, la comunicazione relativa al riconoscimento della costellazione delle Pleiadi nel dolmen di Montelungo (Cala Gonone, Sardegna). Si noti che, al momento del dibattito sulla comunicazione, due studiosi avevano espresso dubbi sul movimento, relativo fra loro, delle stelle della costellazione. Ciò è riportato negli Atti, nel dibattito finale seguito alla comunicazione.
C’è quindi molta attesa per il convegno che si terrà a Saint Martin de Vesubie, ai margini del Parco del Mercantour, essendo i relatori francesi di elevato spessore culturale. Nel fascicolo 5 della rivista scientifica “Comptes Rendu – Palevol” pubblicata da Elsevier Masson per l’Accadémie des Sciences di Parigi, figura l’articolo di “Paleontologia umana e preistoria” a titolo “Les gravures rupestres des Pléiades de la montagne sacrée du Bego, Tende, Alpes-Maritimes, France”, portante i seguenti autori: Annie Echassoux, del Laboratoire départemental de préhistoire du Lazaret, conseil général des Alpes Maritimes, Nice; Henry de Lumley, Fondation Albert I.er Prince de Monaco,
insitut de paléontologie humaine, Paris; Jean-Claude Pecker, Collège de France, Paris ; Patrick Rocher, Observatoir de Paris. A fronte di una simile rassegna di competenze specialistiche, si ritiene che il convegno potrà far progredire gli studi sulle coppelle a significato astronomico, oltre quanto già emerso nei tre convegni a tema: “Le incisioni rupestri non figurative nell’arco alpino meridionale”, Museo del Paesaggio, Verbania, 6/7 ottobre 2001; “Coppelle e dintorni nell’arco alpino meridionale”, Cavallasca, Como, 28/29 settembre 2002; “Ricerche paletnologiche nelle Alpi Occidentali” e “Arte Rupestre Alpina” – CESMAP, Pinerolo, 17/19 ottobre 2003.
La posizione di Adriano Gaspani sulle coppelle con significato astronomico è critica, perché egli teme che non tutte le coppelle siano state eseguite contemporaneamente e che quello che noi valutiamo possa essere un prodotto finale di secoli di frequentazione. Durante il congresso di Verbania egli propose, per superare questo problema, un metodo basato sulle reti neuronali artificiali per stabilire la datazione delle coppelle sulla base del loro profilo.
Con la pubblicazione degli Atti del congresso di San Remo 2002, a titolo “Archeoastronomia : un dibattito fra archeologi ed astronomi alla ricerca di un metodo comune” gli studiosi hanno potuto prendere atto di quanto affermato dai professori Michael Hoskin dell’Università di Cambridge e Clives Ruggles dell’Università di Leicester a proposito degli “allineamenti equinoziali”. Come richiamato da Mario Codebò, venne affermato da tutti gli studiosi presenti che “l’equinozio non è visibile… per cui non è possibile che ci siano allineamenti equinoziali” (Atti).
Questo problema era sorto anche in Corsica, a proposito della comunicazione presentata dal sottoscritto circa l’allineamento di Filitosa, verificato all’equinozio di autunno del 2002, fra la “cuna” del punto di osservazione vulviforme e il megalite cosiddetto occidentale.
Nel 2004 il prof. Hoskin si disse disposto ad accettare questo tipo di allineamento se noi, in tal caso il ricercatore corso Antoine Mari Ottavi ed il sottoscritto, ne avessimo modificato la terminologia di identificazione.
Ciò perché la semantica del termine equinozio presuppone l’eguaglianza delle ore del giorno e della notte, che nella preistoria non poteva essere misurata per la mancanza di orologi. Si è aperto così un ricco dibattito sul “problema epistemologico”, cioè su come sia stato possibile identificare nella preistoria la valenza dell’allineamento 90° – 270°, e sul “problema semantico”, cioè come chiamare questo allineamento, preso atto che il valore semantico preciso non può che essere recente, cioè affermato in presenza di uno strumento misuratore di ore e minuti.
Per rispondere a questa richiesta di tipo semantico si è aperta all’interno dell’A.L.S.S.A. una ricerca su come questo concetto sia espresso nelle varie lingue, a cura del Vice-presidente dell’associazione Luigi Felolo. Gli studiosi corsi, presentando il concetto della “droite d’equinoxe”, cioè la linea retta formata dall’ombra dello gnomone all’equinozio, tendono ad eliminare la problematica epistemologica relativa all’equinozio, perché la via della conoscenza di questo fenomeno astronomico, per gli uomini della preistoria, è stata la via dell’osservazione delle ombre e prescinde quindi dalla matematica applicata ai dati orari e rientra nella geometria degli angoli ed anche nella geometria sacra, perché l’eccezionalità della “droite d’equinoxe” non poteva non influenzare le dinamiche mentali dei nostri progenitori, tendenzialmente orientate in senso simbolico e duale. Nel n° 34 del Bollettino del Centro Camuno di Studi Preistorici, pubblicato nel marzo 2004, è contenuto l’articolo a titolo “Indagine archeoastronomica su un petroglifo della Valcamonica presso il Capitello dei Due Pini”.
In questo articolo si tratta espressamente della “questione degli equinozi” e Mario Codebò considera il problema degli allineamenti equinoziali come un “equivoco formale di termini anziché sostanziale di meccanica celeste” raccomandando di non confondere l’equinozio vero (il momento esatto in cui il centro geometrico del Sole attraversa l’equatore celeste, argomento questo di astronomia sferica) con gli allineamenti megalitici Est-Ovest , argomento questo di paleoastronomia.
Sostanzialmente, dopo alcuni anni di evoluzione di questo dibattito sull’equinozio, è venuto meno l’ostacolo alla ricerca di allineamenti megalitici posizionati in direzione Est – Ovest e al loro riconoscimento, mentre prima, secondo quanto affermato dal prof. Ruggles, questi allineamenti dovevano essere considerati casuali, e ciò metteva in difficoltà i ricercatori nel proporre le proprie scoperte sul campo al comitato dei “referee” che valutavano le comunicazioni, mantenendosi essi inclini a seguire le linee guida vigenti a livello internazionale, spesso con un certo senso di soggezione, rispetto ai più noti esperti mondiali della materia. Si spera quindi che il ritrovamento di allineamenti megalitici orientati in direzione Est – Ovest possa portare ora all’arricchimento delle relazioni dei paleoastronomi nei prossimi convegni di settore.
Non tutti gli studiosi concordano con queste posizioni, e bisogna qui citare Adriano Gaspani, che ritiene chegli allineamenti equinoziali solari siano più probabilmente connessi con levate e tramonti di stelle poste lungo l’equatore celeste all’epoca della frequentazione del sito.
Ciò viene dedotto in termini di entropia (bisogna sempre cercare le soluzioni che prevedano un grado di ordine il più basso possibile). L’evoluzione maggiore nella disciplina si è avuta però nei rapporti con le istituzioni, e ciò è ad ascriversi all’entrata in campo della S.I.A., che ha saputo tradurre in politiche concrete (collaborazione con Enti, Istituti di Ricerca e Soprintendenze Archeologiche in varie regioni d’Italia) quelle speranze che erano emerse durante i primi convegni della materia, organizzati a Roma dall’Accademia dei Lincei.
Va detto in proposito che è nato in Italia il primo ed unico corso universitario di archeoastronomia, diretto dal prof. Giulio Magli, del Politecnico di Milano, che è anche divenuto membro dello Working Group dell’UNESCO. Oltre che agire nelle istituzioni, egli si dedica anche alle ricerche sul campo ed ha analizzato alcuni siti megalitici del Centro Italia, fra i quali Alatri e Ferentino in provincia di Frosinone, Norba e San Felice Circeo in provincia di Latina, Cosa in Toscana e S.Erasmo di Cesi in Umbria, ampliando quindi quanto prima trattato da altri studiosi (Velia ed Alatri da parte di Giuliano Romano, Alatri da parte del sottoscritto).
L’Istituto Internazionale di Studi Liguri (Bordighera) ha attivato i corsi SIMA (Scuola Interdisciplinare delle Metodologie Archeologiche) ed ha inserito fra le materie di specializzazione anche l’archeoastronomia, utilizzando come docenti molti membri della SIA (Antonello, Codebò, De Santis, Gaspani, Magli, Polcaro, Proverbio, Ranieri). È qui obbligo citare un esempio di collaborazione attiva fra istituzioni e cultori della materia, certamente frutto della profonda cultura radicata da secoli nel Napoletano.
Nell’ambito della Unione Astrofili Napoletani è stata istituita nel 1997 la Sezione di Archeoastronomia, coordinata da Franco Ruggieri, che ha ottenuto importanti risultati a Cuma, identificando prima tre calendari basati sulle fasi lunari, poi attribuendo a Diana un piccolo tempio sull’acropoli. Tutte queste ricerche sono state effettuate in collaborazione con la Soprintendenza ai BB.AA. di Napoli nella persona del dr. Paolo Caputo, direttore dell’Ufficio Archeologico di Cuma.
Attualmente, con l’appoggio e la collaborazione attiva di numerose Soprintendenze ai BB.AA. dell’Italia centro-meridionale, oltre che del Museo Archeologico di Napoli, si occupa dell’analisi degli orientamenti di templi appartenenti a culture pre-cristiane(Greci e di popolazioni di lingua osca) nonché dei Dolmen della Puglia.
I risultati ottenuti sono stati resi pubblici nel corso di alcuni interventi ai convegni nazionali della S.I.A. e sono consultabili in Internet. Una vera e propria conversione alla disciplina è invece avvenuta, durante questa decade, nel Dipartimento di Archeologia dell’Università di Bologna, in quanto il suo direttore prof. Maurizio Tosi ha utilizzato il ricercatore Henry De Santis, di “Archeoastronomia Ligustica”, associato A.L.S.S.A., associato S.I.A., associato della Società Astronomica Italiana, per campagne di rilevazione nel Sultanato di Oman ed in India, nel distretto di Harappa (lo stesso parteciperà di nuovo ad una campagna di rilevazioni nel Sultanato di Oman, condotta però dall’Università di Cambridge).
Va detto infatti che lo stesso prof. Tosi, durante il convegno INSAP III, tenutosi in Palermo dal 30 dicembre 2000 al 6 gennaio 2001, tenne una comunicazione in cui non riconosceva il valore scientifico della disciplina, attribuendo ad essa soltanto il valore di un espediente di furbizia delle caste sacerdotali, come modo di perpetrare il loro potere (negli atti di quel convegno, pubblicati nelle “Memorie della Società Astronomica Italiana” – Speciale n° 1-2002 il suo contributo non figura).
Il suo contributo fu una vera doccia fredda, sia per l’autorevolezza della fonte, sia perché nei convegni della E.A.A. (European Association of Archaeologists) non si riusciva a introdurre l’archeoastronomia. Si parlò di questo in un incontro ristretto, avvenuto poco dopo, durante il 7° Annual Meeting European Association of Archaeologists, che si tenne a Esslingen-am-Neckar (19-21 settembre 2001) con gli studiosi Michael Rappenglück (peraltro presente a Palermo) e Stanislaw Iwaniszewski, colonne portanti della materia. I timori di quel brutto momento furono felicemente superati ed oggi si aprono le porte alla nostra disciplina, anche a livello istituzionale.
Questo articolo vuole essere un contributo sull’evoluzione dei rapporti fra l’ambiente degli archeologi e l’ambiente degli astronomi e degli archeoastronomi in Italia, osservato con l’ottica maturata dal sottoscritto nel tempo che è intercorso fra il convegno JENAM 2000, a tema “European Astronomy at the Turn of the Millenium” – Moscow, maggio 29-luglio 3, 2000, e l’inizio dell’ultimo anno della decade, con l’impegno a riconsiderare le osservazioni suddette alla fine di questo stesso anno.