RINALDONIANI di Luca Federici
La più Antica Civiltà d’Italia
Recentemente è stato pubblicato da Effigi l’ultimo libro dell’associazione culturale Tages, scritto da Alberto Conti e Giovanni Feo: “La più antica civiltà d’Italia; siti sacri, templi astronomici, opere megalitiche; origini e diffusione della Cultura di Rinaldone, progenitrice della civiltà etrusca”. L’associazione Tages è stata costituita a seguito dell’importante scoperta del sito astronomico di Poggio Rota (Pitigliano) da parte di Giovanni Feo. Da allora Tages opera sul territorio delle colline del Fiora, alla ricerca di testimonianze di quelle antiche civiltà che molto prima degli Etruschi hanno abitato il centro Italia, risalendo i fiumi Fiora, Marta, Tevere e Albegna, fondando città e creando gradualmente un profondo rapporto sacrale col territorio circostante. Stiamo parlando in particolare della Cultura di Rinaldone (il nome richiama la prima scoperta di una necropoli di questa civiltà nell’area omonima tra Montefiascone e Viterbo). I Rinaldoniani con molta probabilità provenivano dall’Anatolia, attirati sulle coste tirreniche intorno al quarto millennio a.C. dalla presenza cospicua di preziosi giacimenti di rame. Essi introdussero il culto dei morti, costruendo estese necropoli fuori dai plausibili centri abitati (purtroppo non ancora rinvenuti) e ponendo un vaso all’esterno dalla porta del sepolcro, mentre all’interno veniva inserito del vasellame contenente forse del cibo e oggetti di uso comune usati in vita. Tutto ciò sembra indicare che questa civiltà credesse fermamente nella vita dopo la morte, nel culto degli antenati e che probabilmente officiasse un rito sacrale al momento dell’inumazione. I sepolcri venivano spesso riutilizzati, dopo aver raccolto le ceneri precedenti. Veneravano il culto della Dea Madre Terra, delle acque e delle stelle, tanto da scolpire e modellare nel tufo numerose opere sparse sul territorio quali altari megalitici, osservatori, cunicoli e imponenti tumuli e menhir. Opere che un tempo apparivano enigmatiche, ma che ad oggi stanno conducendo gradualmente a una possibile, nonché plausibile riscrittura della più antica storia Italica. Grazie alle fondamentali scoperte archeologiche di Ferrante Rittatore Wonviller, della cui opera ha fatto seguito Nuccia Negroni Catacchio dell’università di Milano, nonché alla volontà e alla profonda conoscenza del territorio di Giovanni Feo e grazie anche al contributo di archeoastronomi e di molti autorevoli studiosi siamo oggi in grado di conoscere meglio la civiltà di Rinaldone. E’ plausibile che il primo insediamento principale sia risieduto nella zona del ponte di San Pietro (Ischia di Castro) dal quale i rinaldoniani, pastori guerrieri, ma anche agricoltori hanno penetrato tutto il centro Italia. Come già affermato essi risalirono i Fiumi principali della bassa Maremma e della Tuscia, in particolare il fiume Fiora, per poi avventurarsi lungo i suoi numerosi affluenti, i torrenti Strozzavolpe, Paternale, Tafone, Olpeta, Nova e Lente, insediandosi per primi su quelle imprendibili rupi tufacee che successivamente verranno rioccupate dai villanoviani e soprattutto dagli Etruschi. L’elemento comune caratterizzante queste occupazioni dell’entroterra tirrenico è ovviamente il Tufo, pietra versatile e facilmente modellabile, che scavando permetteva di raggiungere notevoli profondità, ricavando sepolcri e vani ipogei, dove era possibile inumare i morti e al contempo perpetrare culti e misteri. Ma la scelta di stabilirsi tra le colline del Fiora era suggerita anche dalle risorse ambientali: foreste lussureggianti, cavità naturali, presenza di numerosi corsi d’acqua, abbondanza di selvaggina, pascoli dove allevare bestiame, rupi scoscese e imprendibili dove stabilirsi al riparo da attacchi nemici.
Del resto i siti astronomici di Poggio Rota, delle Sparne e di insuglietti, insieme alla vasta area sacrale di Crostoletto del Lamone (Ischia di Castro), composta da tumuli e da menhir purtroppo devastati negli anni settanta dai proprietari, nonché da i numerosi massi puntatori presenti nelle ripide forre del fosso dell’Arsa, della Nova e dell’Olpeta dimostrano una elaborata scienza del territorio, e un sistema di collegamento tra i vari siti. I primi Etruschi arrivati in Maremma, provenendo anch’essi dall’area Egeo anatolica, certamente rimasero sorpresi nel verificare le profonde affinità culturali che avevano con quei rinaldoniani che duemila anni prima avevano percorso il medesimo viaggio via mare e che avevano già occupato quelle zone ricche di giacimenti ferrosi, di rame, bronzo e cinabro, quest’ultimo abbondante sul monte Amiata. Questa consapevolezza probabilmente ha rappresentato un motivo in più per stabilirsi nella media valle del Fiora e dare inizio alla dominazione etrusca sulla penisola italiana, che ha generato dieci secoli di una civiltà illuminata, sublime e misteriosa.