ALESSANDRO MORANDI
L’EPIGRAFIA DI BOLSENA/VELZNA E LE GRANDI QUESTIONI ETRUSCOLOGICHE
Sul tema dell’ubicazione dell’etrusca Velzna e del Fanum Voltumnae, si riprendono alcuni passi significativi dal testo della conferenza tenuta a Bolsena (sala auditorium, il 22 settembre 1990) da Alessandro Morandi, dal titolo L’EPIGRAFIA DI BOLSENA/VELZNA E LE QUESTIONI ETRUSCOLOGICHE, estratto dal Bollettino di Studi e Ricerche a cura della Biblioteca comunale di Bolsena (1990): “… Peraltro erano già note scoperte di ingenti tesori nelle necropoli di Bolsena soprattutto nel campo delle oreficerie, ed altri se ne conoscono esaminando gli inventari dei musei. Da queste rivelazioni scaturisce un’immagine completamente nuova di Bolsena, che ci fa intendere le ragioni strategiche di una cerchia muraria così imponente ed estesa; per difendere dunque un grande agglomerato urbano intensamente abitato nel periodo etrusco, prima della romanizzazione secondo l’evidenza offerta dalle fitte necropoli che circondano la città. … …C’è poi la testimonianza epigrafica, ripetuta e inequivocabile, del nome Velzna di Bolsena. Di fronte ad una siffatta evidenza si è indotti alle più vive meraviglie che la riconosciuta Volsinii orvietana in tanti secoli di vita fino alla distruzione del III sec. a.C. sia stata così scarsa di artigiani orgogliosi del proprio mestiere se finora il suo territorio non ci ha restituito una “etichetta” così qualificante. In assenza ad Orvieto di una prova definitiva a livello epigrafico, che forse non verrà mai, c’è da augurarsi che possa acquisirsi qualche dato certo dalla monetazione, settore poco indagato finora, in relazione soprattutto alla pertinenza dei nummi argentei con la leggenda Velzna, altrimenti è pienamente legittimo affermare che la questione Volsinii etrusca rimane ancora aperta.”
Nell’appendice del luglio 2013 al testo della conferenza del 1990, l’autore scrive ancora: “… Così a Campo della Fiera l’edificio templare ritrovato, è stato osservato da altri non coinvolti nell’entusiasmo dello staff a lavoro, risulta troppo modesto e non ci sono prospettive del ritrovamento di qualcosa di più imponente, degno di un Fanum e di una divinità così celebri; ripeto, a Orvieto è stato trovato sempre qualcosa di rimarchevole al punto da rendere certa oramai per la quasi totalità degli studiosi l’identificazione della città con la più antica Volsinii. L’iscrizione, piuttosto estesa, rinvenuta a Campo della Fiera, e pubblicata oramai a più riprese, è veramente importante, però ci parla, invece dell’auspicato Voltumna, di Tluskhva, una divinità femminile, minore come tante, già nota dal fegato bronzeo di Piacenza e poi dai frammenti ceramici scavati a Cerveteri città… Tornando allo scavo di Campo della Fiera, auguro alla Studiosa (Simonetta Stopponi n.d.r.), di poter continuare lo scavo con dovizia di mezzi; ma dovizia di mezzi auspico che un giorno si mettano anche a disposizione per chiarire tutta la situazione ambientale archeologica sulla riva orientale del lago di Bolsena a vantaggio altresì del nostro patrimonio archeologico. Il fasto nei costumi delle genti del posto tra IV e III sec. a.C. esemplato dalle eccezionali e, uniche in Etruria, oreficerie, di cui mi sono occupato più volte, non si può spiegare come ricchezza di scampati a una catastrofe quale dovrebbe essere stata quella del trasferimento coatto nella nuova (non proprio disprezzabile) sede secondo la vulgata. Un centro che scopriamo avere avuto una “storia” molto più lontana nei secoli da quanto ci testimoniano le necropoli, queste non ancora adeguatamente indagate. E poi ci sono le iscrizioni arcaiche che a suo tempo misi in evidenza”.
- Anche il valente studioso Alessandro Morandi ripete l’errore già sostenuto dallo staff orvietano dell’archeologa Simonetta Stopponi, quando afferma: “ … A Orvieto è stato trovato sempre qualcosa di rimarchevole al punto da rendere certa ormai per la quasi totalità degli studiosi l’identificazione della città (=Orvieto) con la più antica Volsinii. Tale affermazione risulta gratuita e inappropriata. Semplicemente perché non è l’”importanza” di un sito a fornire la prova che lì era il Fanum Voltumnae … perché allora Tarquinia, Vulci e Cerveteri che hanno monumenti e opere molto più importanti di Orvieto, potrebbero essere state benissimo sedi del Fanum. Non è l’”importanza” del sito ad essere probante, ma quelli che sono gli elementi storici, antropologici e archeologici, da studiare e analizzare: toponomastica, epigrafia, tradizione letteraria, mitografia, studio del territorio (e non un singolo centro urbano, come Orvieto). Un grande problema è il pesante oscurantismo calato sulla storia di Bolsena e del suo territorio. Gli archeologi “orvietani” ripetono che a Bolsena non vi sono necropoli antiche e “importanti”, mentre vi sarebbero a Orvieto. Affermazione falsa, perché gli ori, gli argenti e i tesori delle ricche necropoli di Bolsena, in parte saccheggiati dall’archeologo Golini per decenni, e venduti ai musei di Orvieto e ai collezionisti di mezzo mondo, non vengono mai citati, mentre sono prova concreta dell’importanza e delle ricchezze degli Etruschi di Bolsena e del suo lago. Chi ha studiato Bolsena etrusca senza paraocchi sa che le necropoli locali erano molto più numerose e ricche di quelle orvietane. Ma sembra che, allo stato attuale delle ricerche, non sia tanto importante la verità storica, fatta di dati e riscontri concreti, quanto piuttosto imporre, con arrogante autoreferenzialità, le proprie idee, impedendo il dibattito e la libera ricerca. Infatti, sulla complessa questione del Fanum Voltumnae non è ancora mai stato fatto un dibattito pubblico e libero, confrontando dati e ipotesi, anzi, coloro che hanno avanzato dubbi e ipotesi diversi da quelli degli archeologi “orvietani”, sono stati volutamente ignorati, denigrati e contrastati con ogni mezzo. I rappresentanti di Soprintendenze e accademie continuano a non voler vedere il degrado ambientale e culturale che ammorba il paese tutto. Il parco monumentale italiano, che il mondo intero ci invidia, sarebbe un’inesauribile fonte di cultura, economia e crescita sociale, se fosse valorizzato. E invece si sente ripetere : “Come è possibile che grandi aree etrusche siano ridotte a discariche e siano prive di qualsiasi forma di tutela?” Sicuramente responsabilità non piccole sono da attribuire a l’Istituto delle Soprintendenze, ormai ridotto a ente burocratico, parassitario e anacronistico, ma anche a quegli archeologi che non si sono mai battuti per la difesa del territorio e dei monumenti, né contro i baroni accademici, specializzatisi nel’ostacolare la libera ricerca e il confronto delle idee.