ARCHEOASTRONOMIA

L’orologio e il calendario: Le origini

Luigi Torlai, socio della SIA (Società italiana di Archeoastronomia) e dell’ALSSA (Associazione ligure sviluppo e studi archeoastronomici); collabora, come operatore, con l’Osservatorio astronomico naturalistico di Casasco (AL), per attività di divulgazione pubblica e didattica per le scuole.

Con questa sintetica cronistoria (l’argomento è molto vasto, quindi è stato necessario selezionare il materiale disponibile), mi propongo di riassumere l’evolversi delle pratiche e delle conoscenze dei nostri antenati, nell’arco di vari millenni, sull’utilizzo del moto degli astri per stimare lo scorrere del tempo.

Ho raggruppato questa esposizione in tre periodi cronologici:

  1. gli antichi osservatori del cielo
  2. le grandi civiltà del vicino oriente
  3. il medioevo e il rinascimento

Come vedremo in seguito, in questa ricapitolazione trovano spazio anche alcuni importanti riscontri attinenti a ricerche condotte intorno al territorio di Pitigliano.

Gli antichi osservatori del cielo

Fino a qualche decennio fa era opinione condivisa, nell’ambito dell’archeologia e delle discipline ad essa collegate (antropologia, etnologia, ecc…), ritenere assai improbabile qualsiasi collegamento cognitivo dell’umanità del Paleolitico Superiore (da circa 40.000 a 11.000 anni fa), tra il moto degli astri e il conseguente possibile utilizzo per il computo del tempo. Era opinione prevalente, salvo qualche caso di isolati precursori all’inizio del XX° secolo (ad es. Norman Lockyer, astrofisico inglese), negare qualsiasi rapporto dell’uomo antico con il cielo prima dell’avvento delle primitive forme rudimentali di scrittura, di Egizi e Sumeri, circa 5.000 anni fa. Questa lacuna, che alcuni ostinati e/o disinformati archeologi odierni fanno ancora fatica ad ammettere, è stata finalmente colmata a partire dagli anni ’60 del secolo scorso. In questi ultimi 50 anni infatti sono stati scoperti ed interpretati (anche se permangono le inevitabili incertezze legate alla complessità della materia trattata) reperti di vario genere: dalle incisioni praticate su ossa di animali a quelle impresse sulla pietra. Negli anni ’60, in piena gara per la conquista dello spazio tra USA e URSS, uno studioso di preistoria (Alexander Marschak) fu incaricato dalla NASA di redigere una cronistoria sul rapporto dell’uomo antico con la Luna. A tale scopo Marschak si recò in Francia nella regione della Dordogna, dove le ricerche preistoriche, avviate già nel secolo precedente, avevano fornito spunti interessanti, sia di carattere scientifico che artistico (dipinti della grotta di Lescaux e altri reperti di ossa di animali con strane incisioni), risalenti al Paleolitico Superiore. Alcune incisioni di ossa di cervo, esaminate al microscopio, presentavano lunghe sequenze, ripetute in gruppi di 29 o 30. Le forme di queste piccole cavità, lievemente diverse una dall’altra, mostravano vaghe somiglianze con l’evolversi delle fasi lunari. Successive ricerche ed approfondimenti di carattere statistico, eseguiti anche su altri manufatti ossei, confermarono queste prime ipotesi. Sembrava proprio trattarsi di tacche prodotte per registrare, giorno dopo giorno, vari cicli lunari in successione (fig. 1). Queste scoperte, che ulteriori esami ne hanno attestato la datazione intorno a 30.000 – 35.000 anni fa, sembrerebbero rivelare una prima forma di pensiero “computazionale” da parte dei nostri lontani antenati. Altri analoghi manufatti ossei scoperti in varie località (osso di Ishango in Congo, perone di babbuino sui monti Lebombo in Swaziland e tibia di lupo in Cecoslovacchia), datati tra 30.000 e 37.000 anni fa, hanno definitivamente confermato le insospettabili capacità di “calcolo” dell’uomo del Paleolitico.

Successive indagini effettuate dalla ricercatrice Chantal-Jègues Wolchiewiez, sullo stesso reperto di osso esaminato in precedenza da Marschak, hanno fornito una plausibile ipotesi circa l’esistenza del conteggio di due cicli lunari completi, dal 19/03 al 27/05, incisi sulla placchetta (fig. 2). In effetti confrontando il susseguirsi delle incisioni, schematizzato dalle frecce, si nota una buona analogia tra il reperto di osso e il diagramma della Wolchiewiez. Azzardo una ipotesi: non mi stupirei più di tanto se, in un prossimo futuro, si dovesse scoprire che anche l’uomo di Neandertal (praticamente estinto circa 28.000 anni fa) era in grado di elaborare una qualche forma primitiva di computo del tempo. Dico questo perché, recentemente, tra i paleoantropologi non vi è unità di vedute sulla eventualità che i neandertaliani potessero avere sviluppato forme di pensiero simbolico-astratto (lo confermerebbero vari ornamenti e decorazioni praticate sui resti di defunti). Proseguendo nella nostra rassegna di reperti relativi al computo del tempo, segnalo due particolari pietre incise, risalenti al IV° millennio a.C., poste accanto agli ingressi del sito irlandese di Knowth (vicino a quello, più conosciuto, di Newgrange). In fig. 3 è rappresentato lo schema di una lastra incisa che sembra riassumere i dati di un calendario lunare. Vi sono impressi i 29 giorni del mese, indicati da cerchi e semi-cerchi disposti in senso orario, dove il primo segno in basso a sinistra rappresenterebbe il primo quarto, mentre la grossa spirale al centro la luna piena. La striscia ondulata al centro, riprodotta in basso al dettaglio, indicherebbe un doppio ciclo lunare di 31 mesi, equivalente a 365 giorni solari di 12 mesi. Infatti 62 lunazioni complete di 29,5 giorni corrispondono a circa 5 anni solari, quindi alla fine di questo periodo si ristabilisce l’equivalenza tra l’anno lunare di 354 giorni (12 lunazioni per 29,5 giorni) e quello solare legato alle stagioni. Anche il successivo calendario celtico, documentato su una lastra di bronzo trovata a Coligny (Francia), presenta analogo principio di sviluppo.

Figura 3

In fig. 4 viene rappresentato quello che potrebbe essere considerato uno dei primi “orologi solari”   (IV° millennio a.C). Sulla cavità centrale (indicata dalla freccia) avrebbe potuto essere appoggiato un bastone ad una sua estremità. L’ombra generata dal sole, materializzata dal bastone, veniva a sovrapporsi  alla raggiera incisa sulla pietra,  potendo quindi  indicare, approssimativamente, lo scorrere del tempo durante il giorno.

Un altro sito, di grande interesse archeoastronomico, è ubicato in Val Camonica (Paspardo-BS) dove, nelle sue vicinanze, è presente un notevole dispiegamento di incisioni rupestri.  In questo sito, che ho avuto la possibilità di visitare, gli amici G. Brunod, G. Veneziano ed altri dell’Associazione Ligure Sviluppo Studi Astronomici (ALSSA), hanno effettuato una complessa ricerca che rientra perfettamente nella tematica della misura del tempo. Alla base di un esteso complesso roccioso, denominato Roccia del Sole, datato intorno al 3.500 a.C., è presente un triplice gruppo di raggi incisi sulla pietra e orientati verso una serie di cerchi concentrici (fig. 5).

Figura 5

Appoggiando un bastone, opportunamente inclinato, al centro del punto di convergenza delle raggiere, è stato verificato che in corrispondenza dei cambi stagionali (Equinozi e Solstizi), l’ombra del bastone, al tramonto del sole,  si sovrapponeva in mezzo a ciascuno di questi tre gruppi di incisioni (figg. 6-7-8). A sinistra (fig. 6) l’ombra è stata fotografata al Solstizio Invernale, al centro (fig. 7) agli Equinozi, mentre a destra al Solstizio Estivo.  Questo sito quindi, più che un orologio solare giornaliero, si configurerebbe come strumento di registrazione dei cambi stagionali. Tra l’altro questa ricerca è stata completata con la verifica del tramonto del sole, ai suddetti cambi stagionali, su punti particolari del profilo della catena montuosa del Concarena, che si dispiega proprio di fronte al sito.

L’ultima parte di questa cronistoria sulla misura del tempo riassume parte delle ricerche condotte, nel corso di vari anni, da Giovanni Feo, alle quali ho collaborato anch’io. In questa circostanza il teatro delle operazioni ha interessato un’area adiacente al territorio di Pitigliano. L’ipotesi che abbiamo formulato, alla fine delle indagini condotte sulle molte “tracce” riscontrate sul terreno, è la possibile esistenza di una metodologia, che potrebbero avere utilizzato i nostri antenati (forse anche di epoca pre-etrusca), per sfruttare il moto del sole sull’orizzonte per fini calendariali. Per facilitare la comprensione del meccanismo che sta alla base di questa metodica, sicuramente alla portata dell’uomo del IV-III° millennio a.C., riportiamo l’esito dei rilevamenti effettuati dalla rupe di Poggio Campagnolo, che riteniamo possa avere costituito un luogo molto adatto per l’osservazione del sorgere del sole da parte un ipotetico osservatore sacerdote-astronomo (fig. 9).
Fig. 9 Rupe di Poggio Campagnolo (Pitigliano Gr)

La scelta di questo roccione, confortata da tutta una messe di riscontri come: coppelle, edicole ed un ampio sedile (solium) di osservazione, non è stata casuale. Da questa rupe, testimone di una ricca e prolungata frequentazione antropica,  è possibile visualizzare, con molta comodità, il profilo dell’orizzonte che va dal Monte Citerna al Monte Becco (fig. 10). Questo sentiero naturale, delimitato tra la terra e il cielo, ha reso possibile l’osservazione del percorso del sole, all’alba, durante tutto il corso dell’anno.  In questa sede evito di  inserire i dati relativi ai parametri  di carattere squisitamente tecnico, per i quali si rimanda alla nostra pubblicazione in bibliografia essenziale.

Bibliografia essenziale      

  1.   Cieli perduti, di Guido Cossard, editrice UTET
  2.   Un antico osservatorio astronomico, di Giuseppe Brunod e Giuseppe Veneziano, ed. Print Broker
  3.   Occhi del cielo: Celti, Etruschi, Italici e la volta celeste, autori vari, ed. Arti grafiche 2008
  4.   Misteri e scoperte dell’archeoastronomia, di Giulio Magli, editrice Newton & Compton
  5.   I primi osservatori, di Cornell J., editrice Feltrinelli
  6.  Astronomia: alla scoperta del cielo, autori vari (6 volumi), editrice Curcio
  7.  La terra e il cielo degli etruschi, di Giovanni Feo e Luigi Torlai, editrice Venexia