POGGIO ROTA – Una ricostruzione verosimile di un passato remoto
Verso il 2500 a.C., un gruppo di sacerdoti dediti all’osservazione astronomica e al culto astrale, si aggiravano sui poggi tufacei della Maremma collinare, lungo la riva sinistra del fiume Fiora, alla ricerca di un sito speciale. Anche il loro “progetto” era molto speciale: trovare il luogo “giusto” dove tagliare e lavorare la roccia per ricavarne un osservatorio celeste, di proporzioni megalitiche.
Il “tempio” sarebbe servito per ottenere informazioni sulle stagioni e il passare del tempo, ma anche per rendere il culto al sole e agli astri che, per quel popolo, erano gli dèi del cielo.
Quei sacerdoti appartenevano alla “cultura” di Rinaldone, di probabili origini egeo-anatoliche. Verso il 4000 a.C. avevano risalito la valle del Fiora, giungendo nel territorio del tufo, sull’attuale confine tosco-laziale. Verso il 2500 decisero di realizzare un ‘tempio’ astronomico e iniziarono la ricerca di un luogo idoneo per il loro progetto. Oggi sappiamo che non cercarono alla cieca.
Un posto qualsiasi non era ciò che cercavano, ma un luogo speciale, da dove era possibile vedere in cielo una certa figura, un “segno” celeste: una forma a mezzaluna rovesciata e nel centro la stella polare. Il loro concreto punto di riferimento, verso dove guardare, era il monte più alto di tutta la regione, il monte Amiata (1734 m). Nitida sull’orizzonte settentrionale, si staglia la sua inconfondibile vetta, come una luna rovesciata, formata dalle sue due gobbe. Il luogo ‘giusto’ fu trovato dai sacerdoti-astronomi sulla sommità di un colle, davanti al fiume Fiora, Poggio Rota. Lì, sopra un ampio masso di tufo videro il “segno” all’orizzonte lontano: la sella del monte Amiata, con sopra la stella polare che, all’epoca, era la stella “alfa”, la più luminosa della costellazione del Drago, Thuban. La stella polare è fondamentale per osservare il cielo e il movimento degli astri, perché la sua posizione, che resta inalterata per millenni, indica la direzione nord, permettendo all’osservatore di determinare la quattro direzioni spaziali e quindi di poter segnare lo scorrere del tempo e delle stagioni.
Poggio Rota fu quindi scelto da quei sacerdoti perché da lì era visibile il “segno” ricercato, la sella montana con la stella polare incorniciata all’interno. Questo tipo di segno è oggi chiamato dagli astronomi un “asterismo” e si è scoperto che è possibile ritrovarlo presso molte civiltà antiche; probabilmente, un tempo, era di universale diffusione.
Nel sito di Poggio Rota ritroviamo ben tre megaliti orientati verso selle montane visibili sull’orizzonte.
Vincent Scully, professore di storia dell’arte alla Yale University, ha raccolto in un apprezzato volume (The Earth, The Temple, The Gods, Greeck sacred architecture) un’enorme mole di materiale sui rapporti tra i templi greci e mediterranei e il circostante paesaggio montano.
I templi di età classica, erano orientati verso quelle che un tempo erano ‘templi’ naturali, le montagne sacre, il cui culto deve risalire ad epoche preistoriche.